Lagunamare | Sul Belforte e la zona del Lisert [febbraio-marzo 2014]

Lagunamare | Sul Belforte e la zona del Lisert [febbraio-marzo 2014]

rassegna stampa

Grazie al cortese interessamento dell’amico Marco di Rialtofil, sul numero di marzo di Lagunamare, rivista di Assonautica Venezia, si parla del Lisert, del Belforte e delle terme romane nell’intreccio di storia e suggestioni, in un articolo a cura della nostra Associazione.

Clicca QUI per l’articolo pubblicato su Lagunamare di febbraio/marzo 2014, dal titolo ‘Sul Belforte e la zona del Lisert’

punta cocci

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In occasione di una bonifica resasi necessaria al canale d’accesso al Villaggio del Pescatore, a breve distanza dal sedime del Sidam, si rinvenne un deposito subacqueo di cocci, successivamente asportato e depositato nei pressi del ‘balo’, la grande palude bonificata e successivamente inglobata nella zona industriale di Monfalcone.

Le prime suggestive ipotesi circa quel rinvenimento fecero propendere per il carico perduto da un barcone, ivi naufragato.

Studi più accurati misero in luce la natura di quei reperti.

Che vennero datati come appartenenti al periodo tra il I e il II sec. d.C. e a quello tardorinascimentale.

Trattandosi di materiale decorato, riservato ad una clientela nobiliare, si pensò più opportuno ricondurre tale ritrovamento nell’ambito di un centro abitato o, ancor meglio, di una villa patrizia.

E, sorgendo sulla via tra Tergeste ed Aquileia il Castellum Pucinum, in cui si produceva l’omonimo vino, particolarmente apprezzato da Livia Drusilla, moglie del primo imperatore romano Augusto, ciò giustificherebbe l’insediamento in zona di una fabbrica votata alla produzione di materiale così raffinato.

la Rocca di Monfalcone

la Rocca di Monfalcone

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Questo disegno proviene dall’Archivio di Stato di Venezia (fondo Terkutz) e illustra la Rocca di Monfalcone così come doveva apparire verso la fine del’600, sotto il dominio della Serenissima.
È ben raffigurato il fossato, il cui tracciato è ancor oggi nettamente distinguibile direttamente in situ.
La curiosa dicitura sul ‘ponte che sarà da esser rifatto’,risulta indicativa delle cure necessarie al manufatto d’accesso al poderoso bastione.

(da ‘Alle origini dell’industrializzazione: Monfalcone e il territorio dall’economia rurale allo sviluppo manifatturiero’, Furio Bianco, 1986)

Per approfondimenti, si rimanda allo stesso argomento, trattato nel progetto SottoMonfalcone.


 

Timavo, foce

Timavo, foce

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In questa splendida panoramica raffigurante la foce del Timavo, le tracce di un antico passato e la quiete del luogo palustre si confrontano con i cenni di una modernità che, di lì a poco, ne avrebbe trasformato radicalmente l’aspetto.

Con delle placide anse appena accennate, il Timavo incontra il mare in prossimità del ‘balo’, l’affioramento alluvionale che si può notare sulla destra, un tempo sede insulare del castelletto veneziano del Bel Forte.

Sulla sinistra del corso d’acqua si nota chiaramente l’assenza del Villaggio del Pescatore, edificato nei primi anni ‘50, mentre in lontananza, oltre le zone umide, un battello a vapore traina una chiatta, pennellando il cielo di questa foto con un lungo sbuffo di fumo.

foto: 1°marzo 1911 – foce del Timavo dal sommo dell’Isola della Punta (Civ. Musei di Storia ed Arte di, fotografo Alberto Puschi).
L’isola della punta (o Quota 12) fu sbancata negli anni ’70 per favorire l’insediamento dell’industria, al Lisert.

Nei secoli, fu appellata anche come anche Monte della Fornace, Amarina e Montagnola.

tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)

tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)

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Era trascorso un cinquantennio da quando per la prima volta le legioni romane di Aquileia si erano accampate presso il porto di Timavo sotto l’Ermada per la conquista dell’Istria, e il console Gaio Sempronio Tuditano, dopo aver domato i Giapidi e i Taurisci e ricacciato tra le montagne i Carni, offerse in memoria del trionfo celebrato a Roma per la fulminea vittoria il bottino di guerra al nume del Timavo e ne restituì il culto, affidandolo a un collegio sacerdotale di magistri. Autore della lapide dedicatoria in versi saturnii, che si conserva nel Museo di Aquileia, è probabilmente lo stesso Tuditano, conosciuto anche nel mondo delle lettere come storiografo.

frammento di una grande base recante il nome del console Tuditano, rinvenuto nel Castello di Duino e probabilmente proveniente dal vicino sacello del Timavo

Il Timavo, lo dice il vocabolo preromano, è un antichissimo nume fluviale indigeno, confuso poi per influenze greche d’oltremare con l’eroe tracio Diomede, domatore di cavalli: ancora ai giorni nostri si usava tenere a S. Giovanni del Timavo la fiera dei famosi equini dell’allevamento dei Duinati, che, come quelli della razza lipizzana del Carso, si facevano discendere dalle mitiche mandrie diomedee.
Un altro mito antichissimo, il passaggio degli Argonauti, adombra poeticamente l’importanza commerciale delle strade che congiungevano il nostro golfo con le vie acquee del Danubio e dei suoi affluenti, mito che dai geografi greci fu frainteso e condusse alla strana concezione di un duplice corso dell’Istro-Danubio, di cui il Timavo era creduto un ramo.
Il fenomeno sorprendente del fiume Timavo che sgorgando con polle abbondanti dall’alto delle rocce si gettava con immenso fragore nel mare, sì da parere non foce ma sorgente, diede origine al culto primordiale, culto che visse attraverso i secoli e si trasformò poi in quello del Santo Battista.
Il caso si ripeté in un’altra località del suburbio tergestino, a San Giovanni o S.Pelagio di Guardiella, dove le acque dello stesso Timavo sotterraneo, che ivi filtrano attraverso la rupe, furono raccolte dai Romani e condotte in città, mentre per un secondo acquedotto tergestino i Romani si servirono della Fonte Oppia nel villaggio di Bagnoli in Val Rosandra, il quale ha pure la sua chiesa intitolata a San Giovanni.
(continua)


Nella foto di copertina, opera di Elena Clausero, la riproduzione dell’aretta del I secolo, proveniente dal Castello di Duino ma originariamente posta a breve distanza da una delle bocche da cui il fiume Timavo erompe dal suo percorso ipogeo, recante l’iscrizione dedicatoria al culto fluviale del Timavo [Temavo /voto/[suscep]to/…], il cui originale qui sotto osservabile è conservato presso il Museo d’Antichità J.J. Winckelmann di Trieste.

epigrafe con dedica al fiume Timavo divinizzato

a cura della prof.ssa Marisa Bernardis


tra acque e miti del fiume Timavo (II parte)