tra Venezia e Impero Ottomano
Circa trent’anni dopo il subentro dei Veneziani allo Stato Patriarcale nella reggenza delle terre del Friuli cui apparteneva Farra, una nuova minaccia si abbatté su questi territori, questa volta proveniente dai Balcani: i Turchi.
Essendo equipaggiati in modo leggero ed adottando una tecnica di combattimento basata sull’agilità, difficilmente s’arrischiavano a cingere d’assedio le Terre, ossia le città murate. Domenico Malipiero racconta, nei suoi Annali, che le truppe turche fecero oltre ottomila prigionieri tra i civili in un sol mese, incendiando ogni villaggio del contado goriziano, inclusa Farra.
Da qui, la decisione della Repubblica di Venezia d’iniziare i lavori per la costruzione di una linea difensiva fortificata, comprendente la fortezza di Gradisca e i forti di Mainizza e di Fogliano.
La costruzione della fortezza bastionata di Gradisca relegava Farra a una posizione subalterna, perdendo de facto il diritto giurisdizionale sulla città veneta.
Per avere un’idea ancor più precisa della gravità del pericolo rappresentato dal Turco, basti considerare la presenza di un foglio di carta, ripiegato più volte, all’interno del ‘Memorandum Ligny’ del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci: si tratta di due abbozzi di lettera, vergati dal genio, in cui si propongono degli studi sul fiume Isonzo condotti per i Veneziani. Un sopralluogo forse tenuto segreto, al fine di capire quale tipo di opera fosse da condurre sul fiume, al fine di sbarrare il passo all’invasore ottomano. In un altro passo del Codice Leonardo ipotizzò che il modo più efficace per bloccare il nemico fosse quello di servirsi di una diga mobile, per allagare campagne circostanti e rendere impraticabili le zone al passaggio. Visti gli enormi costi realizzativi, l’idea non fu considerata realizzabile.