Percorso di pietra #4 | In viaggio!

Percorso di pietra #4 | In viaggio!

meno nuove percorsi di pietra

Abbiamo parlato delle strade romane e in particolare di quella che passava nel territorio di Farra, proveniente da Aquileia e diretta all’odierna Lubiana. Ma come si viaggiava su queste antiche strade e, nel caso della via Aquileia-Emona, che merci transitavano nell’una e nell’altra direzione?

Lungo i percorsi extraurbani ci si poteva spostare naturalmente a piedi o a dorso di cavallo, mulo o asino oppure utilizzando mezzi a trazione animale, come calessi o carretti.
Le fonti letterarie antiche e le raffigurazioni artistiche ci illustrano una grande varietà di tipologie di veicoli in uso, varietà legata al numero di persone trasportate, alla lunghezza del percorso e al servizio che il mezzo svolgeva.
Per molti di questi mezzi, usati per tutta l’età romana, a due o quattro ruote, si ipotizza una derivazione da forme prodotte ad esempio nelle Gallie come il cisium e l’essedum, vetture con cocchiere, o come il carpentum, veicolo di rappresentanza di origine etrusca, carro coperto a due ruote, poi trasformato in un mezzo a quattro ruote per essere usato anche per il trasporto passeggeri e per le merci. In ambito militare il currus a quattro ruote, a otto o dieci raggi, era il mezzo più utilizzato.

Per quanto riguarda le merci che venivano trasportate lungo la strada Aquileia-Emona, sappiamo da Strabone, lo storico greco vissuto tra la seconda metà del I secolo a.C. e il primo quarto del I secolo d.C, che Aquileia, la capitale delle X Regio, era il centro di distribuzione di prodotti di provenienza mediterranea molto ricercati dai mercanti dell’Illiria, come il vino e l’olio, nonché un centro di arrivo, lungo la medesima direttrice, di bestiame, pelli e schiavi. Carri pieni di questi beni giungevano all’emporio di Nauporto e da lì forse le merci continuavano il loro cammino fino a Emona ma per via fluviale.

Con la prossima “pillola” faremo una sosta lungo il percorso…e dove, se non in una mansio?

[foto di copertina: bassorilievo di carro rinvenuto presso il municipio Claudium Virunum , odierna ZollfeldAustria]


Nauporto, nello studio ‘Nauportus -an Early Roman trading post at Dolge njive in Vrhnika’ di Branko Music e Jana Horvat, pubblicato sull’Arheoloski Vestnik

i #percorsi

Percorso di pietra #2 | Costruire una strada in età romana
Percorso di pietra #3 | La strada Aquileia-Emona
Percorso di pietra #4 | In viaggio!
Percorso di pietra #5 | Fermarsi a riposare lungo la strada: mansiones e mutationes
Percorso di pietra #6 | I ponti romani
Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana
Percorso di pietra #8 | Il ponte sull’Aesontius
Percorso di pietra #9 | La distruzione e la ricostruzione del ponte di Farra

presentazione della mostra ‘Percorsi di pietra – Verso il museo archeologico di Farra d’Isonzo’

nuove percorsi di pietra

Sabato 24 giugno alle ore 18:00, si è tenuta l’inaugurazione della mostra Percorsi di pietra – Verso il museo archeologico di Farra d’Isonzo presso il Museo di Documentazione della Civiltà Contadina Friulana di Farra d’Isonzo.
Dopo una prima presentazione del progetto da parte di Piera Mauchigna, vicepresidente dell’associazione Lacus Timavi , han fatto seguito il benvenuto da parte dell’Amministrazione Comunale di Farra, nella persona del sindaco Stefano Turchetto, e l’intervento del Consigliere Regionale Diego Bernardis, presidente della V Commissione Cultura.
La professoressa Fulvia Mainardis, docente di storia romana dell’Università degli Studi di Trieste che ha amabilmente intrattenuto i presenti con un dettagliato quadro storico sull’importanza del ponte romano che, nei pressi della Mainizza, attraversava il fiume Isonzo e che è stato teatro di numerose vicende d’armi e non solo, nel corso della sua bimillenaria storia.
Nel rappresentare l’Amministrazione Comunale di Farra d’Isonzo, il sindaco Turchetto ha sottolineato come la valorizzazione di questo patrimonio culturale sia stata resa possibile grazie ai bandi di ripartenza Cultura e Sport della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, auspicando che questa mostra rappresenti il primo passo verso la creazione di un museo archeologico nel comune di Farra d’Isonzo.
Vi è poi stato un intermezzo musicale del Coro dei bambini, partecipanti al Music Summer Camp di Farra d’Isonzo, a cura dell’Accademia lirica Santa Croce, sotto la guida del MºMassimiliano Svab e diretti dal MºAlessandro Svab, che ha allietato una sala gremita del pubblico intervenuto per questa speciale occasione.
Ha fatto seguito la proiezione di un video illustrativo sui passaggi per il recupero e la musealizzazone dei reperti lapidei che sono ospitati al piano terra del Museo della Civiltà Contadina Friulana, per poi portare i presenti nella sede vera e propria della mostra dove la professoressa Mainardis e il comitato scientifico dell’associazione culturale Lacus Timavi di Monfalcone, composto dalle archeologhe Paola Maggi, Renata Merlatti e Gabriella Petrucci, hanno approfondito la storia degli elementi esposti in mostra e del ponte romano. In tal senso vi è stato anche l’intervento del presidente dell’associazione culturale Lacus Timavi di Monfalcone Andrea Fasolo, coordinatore tecnico di progetto, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli-Venezia Giulia, con la Fondazione Aquileia e che gode del patrocinio dell’Università degli Studi di Trieste.

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cenni a storia e tradizione della vitivinicoltura nella D.O.C. “Isonzo”

cenni a storia e tradizione della vitivinicoltura nella D.O.C. “Isonzo”

vino

Quale tradizione vitivinicola nella pianura goriziana, ossia nella zona a denominazione di origine controllata dell’Isonzo?

Antichissima senza dubbio: è risaputo, infatti, che la coltura della vite ebbe diffusione nella nostra regione ad opera dei coloni romani che, dopo la fondazione di Aquileia (181 a.C.) s’insediarono nella pianura retrostante e quindi nel rimanente territorio dell’attuale Friuli.
Ma sembra che già i primi abitanti di queste contrade -e qui entriamo nella leggenda: parliamo degli Eneti, popolo dedito principalmente all’agricoltura- avessero importato la vite dalla Grecia arricchendo così la loro agricoltura di questa importantissima pianta.
Il commercio dei prodotti della terra, infatti, doveva essere già a quel tempo molto frequente, se molti storici attribuiscono l’origine del nome Isonzo, dato al fiume principale, dal nome celtico “Esus“, considerato il protettore del commercio fluviale.
Tra gli scrittori più antichi testimoni della presenza e della rinomanza del vino della pianura goriziana possiamo citare Plinio il Vecchio che nella sua “Storia Naturale” XIV/6 nomina il Nobile Vino Pucinum. Lo storico Giuseppe Berini nella sua “Indagine sullo stato del Timavo e delle sue adiacenze al principio dell’Era Cristiana” stampata nel 1826 dice che nel 990 di Roma (237 d.C.) per ritardare l’avanzata del tiranno Massimino, gli Aquileiesi demolirono il ponte sull’Isonzo e Massimino lo sostituì con, “Vuoti arnasi di vino legati assieme e coperti di terriccio e fascine” raccolti nella pianura circostante.
Un altro storico Basilio Asquini nel suo “Ragguaglio geografico del territorio di Monfalcone nel Friuli” (Udine 1741) descrive il fiorire della vite:

“… ma in niuna cosa spicca maggiormente la meravigliosa attività di questo terreno, che nella produzione delle piante, le quali ben nutrite e perciò ricche, grosse e si incontrano quasi in ogni luogo: Singolarmente le Viti, delle quali ne di più Folte ne di più Feconde crediamo che in Tutto il Suo Impero possa Bacco vantare… Conservarsi inoltre agevolmente da un anno all’altro Senza Riportare dalla Stagione Calda ALCUN NOCUMENTO: qualvolta però serbati sieno in Fresche e Ben Custodite Cantine.
Ne’ tacere dobbiamo un Gran Privilegio, che mercè detti vini si godono quei abitanti, cioè di non essere mai soggetti alli calcoli…'”

Esistono documenti che parlano di vitigni tuttora coltivati, nel secolo 17° quando l’imperatore Leopoldo I donò il feudo di Cormòns alla famiglia Locatelli e precisamente la Tenuta di Angoris, già si nominano la Ribolla, il Refosco e il Verduzzo, questi ultimi due, attualmente, a Denominazione di Origine Controllata “Isonzo”.

a cura dell’agronomo, enologo e giornalista Claudio Fabbro

 


 

al via il progetto di valorizzazione dei reperti archeologici di Farra d’Isonzo

al via il progetto di valorizzazione dei reperti archeologici di Farra d’Isonzo

Farra d'Isonzo percorsi di pietra

S’inaugura a Borgo Colmello di Farra d’Isonzo l’articolato iter che, in stretta collaborazione con la locale Amministrazione Comunale, intende portare alla definizione del primo nucleo di un museo archeologico dedicato alla collezione di reperti riferibili al complesso del ponte romano sull’Isonzo in località Mainizza, alla stazione itineraria e alla prossima necropoli.
Nel corso dei mesi a venire, le varie fasi di ricerca, indagine e recupero dei beni da musealizzare saranno illustrate parallelamente alla storia dei luoghi, delle vicissitudini e dei personaggi noti e meno noti che, nel corso del tempo, si son posti a vario titolo in relazione con questo territorio.


 

la botte di villa della Punta

la botte di villa della Punta

meno nuove

In epoca romana, i contenitori destinati al trasporto di alimenti erano rappresentati dalle anfore che, nelle loro diverse forme, potevano racchiudere prodotti quali il garum, l’olio d’oliva e il vino, ma anche spezie, semi, conserve di frutta, datteri e altro ancora.
Essendo principalmente costruite in terracotta, di esse è giunta sino ai nostri giorni una variegata testimonianza, apprezzabile presso le collezioni di numerosi musei archeologici.
Ben più raro è poter osservare un esemplare d’una botte lignea o parte di questa, come è invece successo nel caso del ritrovamento durante gli scavi condotti negli anni ’70 dello scorso secolo, presso la villa della Punta, posta sull’isola omonima -oggi scomparsa-  in prossimità della foce del fiume Timavo.
Difatti, nel corso di questi, emerse un coperchio d’una botte utilizzata per il trasporto del vino, decisamente ben conservato grazie alle condizioni anaerobiche dovute alla sommersione nei fanghi palustri, che ne hanno ostacolato la decomposizione.
Di quest’interessante testimonianza del II secolo dopo Cristo, particolare interesse suscitano alcuni graffiti e il marchio impresso a fuoco sulla superficie, che reca la scritta

C.VI[—]VS/ [—] 

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Considerato il periodo storico, risulta suggestivo immaginare che Massimino il Trace, soldato barbaro proclamato Imperatore dalle legioni a seguito di vittoriose campagne militari, servendosi di botti simili a quella cui appartenne questo coperchio, costruì un ponte per attraversare con le sue truppe un Isonzo dalle acque ingrossate per via dello scioglimento dei nevai alpini, nel tentativo di raggiungere ed assediare Aquileia.
Difatti, il Pons Sonti in località Mainizza era stato in precedenza abbattuto proprio per impedire a Massimino il raggiungimento della città romana sul fiume Natissa, ove qualche tempo dopo, al termine d’un estenuante assedio, troverà la morte per mano dei suoi stessi soldati.

Il coperchio della botte è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ed è stato esposto durante la mostra ‘Made in Roma and Aquileia’, proposta dalla Fondazione Aquileia nel 2017.

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Lucio Barbio Montano e l’aretta votiva all’Isonzo

Lucio Barbio Montano e l’aretta votiva all’Isonzo

meno nuove

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Aesontio
sacr(um)
L(ucius) Barbius Montan(us)
p(rimus) p(ilus)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

Sacro all’isonzo, Lucio Barbio Montano, primo centurione, ha sciolto un voto di buon grado a giusto titolo

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Isonzo; Soča; pons Sontii; Mainizza
l’aretta votiva, conservata presso il Museo Archeologico di Aquileia

 

L’antico nome dell’Isonzo (Aesontius) è documentato da questa epigrafe, studiata dall’archeologo Giovanni Battista Brusin e rinvenuta nel 1922 in località Mainizza, sulla riva dell’Isonzo, in prossimità del grande ponte romano che in quel punto lo attraversava.
L’altra epigrafe che ne riporta il nome è stata rinvenuta nel 1989, presso San Pier d’isonzo.

Il Brusin, aquileiese, negli anni ’20 fu direttore del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e iniziò gli scavi al foro e al porto dell’antica metropoli romana.

> il pons Sonti

> il grande ponte romano sull’Isonzo: una galleria d’immagini

 

Sanudo; Monfalcone; associazione culturale Lacus Timavi; Friuli Venezia Giulia

Pons Sonti

Pons Sonti

meno nuove

Le strade romane per la Pannonia rappresentavano un percorso estremamente importante di comunicazione tra area adriatica, area alpina (il Noricum) e quella danubiana.
Nel primo secolo a.C. fu tracciata la strada che collegava Aquileia a Nauporto, odierna Vhrnika, in Slovenia, ove le merci venivano scaricate dai carri e imbarcate su traghetti che poi avrebbero raggiunto destinazioni remote utilizzando le vie d’acqua della Sava e del Danubio.
Questa strada ricalca un preesistente itinerario preistorico che, attraversando la Selva di Piro (ad Pirum), scavallava i rilievi carsici e consentiva di tagliare notevolmente le percorrenze.
Punto di passaggio del fiume Isonzo era rappresentato dal Pons Sonti, nei pressi dell’attuale località di Mainizza. Da questo luogo, allontanandosi da Aquileia, la strada traduceva poi a Castra ad Fluvium Frigidum, attuale Aidussina.
Senz’approfondire in questo momento gli straordinari fatti che riguardarono le località citate, nella foto qui sopra, scattata in prossimità della località Mainizza di Farra d’Isonzo al momento dell’ultima grande magra del fiume, si possono notare le basi dei pilastri di sostegno del ponte, che conobbe lunga e tormentata storia.

QUI, una galleria di foto da noi scattate in occasione della secca del fiume (anno 2012)


 

il bassorilievo del dio Aesontius, conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia