tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)

tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)

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Era trascorso un cinquantennio da quando per la prima volta le legioni romane di Aquileia si erano accampate presso il porto di Timavo sotto l’Ermada per la conquista dell’Istria, e il console Gaio Sempronio Tuditano, dopo aver domato i Giapidi e i Taurisci e ricacciato tra le montagne i Carni, offerse in memoria del trionfo celebrato a Roma per la fulminea vittoria il bottino di guerra al nume del Timavo e ne restituì il culto, affidandolo a un collegio sacerdotale di magistri. Autore della lapide dedicatoria in versi saturnii, che si conserva nel Museo di Aquileia, è probabilmente lo stesso Tuditano, conosciuto anche nel mondo delle lettere come storiografo.

frammento di una grande base recante il nome del console Tuditano, rinvenuto nel Castello di Duino e probabilmente proveniente dal vicino sacello del Timavo

Il Timavo, lo dice il vocabolo preromano, è un antichissimo nume fluviale indigeno, confuso poi per influenze greche d’oltremare con l’eroe tracio Diomede, domatore di cavalli: ancora ai giorni nostri si usava tenere a S. Giovanni del Timavo la fiera dei famosi equini dell’allevamento dei Duinati, che, come quelli della razza lipizzana del Carso, si facevano discendere dalle mitiche mandrie diomedee.
Un altro mito antichissimo, il passaggio degli Argonauti, adombra poeticamente l’importanza commerciale delle strade che congiungevano il nostro golfo con le vie acquee del Danubio e dei suoi affluenti, mito che dai geografi greci fu frainteso e condusse alla strana concezione di un duplice corso dell’Istro-Danubio, di cui il Timavo era creduto un ramo.
Il fenomeno sorprendente del fiume Timavo che sgorgando con polle abbondanti dall’alto delle rocce si gettava con immenso fragore nel mare, sì da parere non foce ma sorgente, diede origine al culto primordiale, culto che visse attraverso i secoli e si trasformò poi in quello del Santo Battista.
Il caso si ripeté in un’altra località del suburbio tergestino, a San Giovanni o S.Pelagio di Guardiella, dove le acque dello stesso Timavo sotterraneo, che ivi filtrano attraverso la rupe, furono raccolte dai Romani e condotte in città, mentre per un secondo acquedotto tergestino i Romani si servirono della Fonte Oppia nel villaggio di Bagnoli in Val Rosandra, il quale ha pure la sua chiesa intitolata a San Giovanni.
(continua)


Nella foto di copertina, opera di Elena Clausero, la riproduzione dell’aretta del I secolo, proveniente dal Castello di Duino ma originariamente posta a breve distanza da una delle bocche da cui il fiume Timavo erompe dal suo percorso ipogeo, recante l’iscrizione dedicatoria al culto fluviale del Timavo [Temavo /voto/[suscep]to/…], il cui originale qui sotto osservabile è conservato presso il Museo d’Antichità J.J. Winckelmann di Trieste.

epigrafe con dedica al fiume Timavo divinizzato

a cura della prof.ssa Marisa Bernardis


tra acque e miti del fiume Timavo (II parte)