i legni della Serenissima

i legni della Serenissima

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‘Unum lignum nostri Comunis quod est in Arsena, quod nihi valet nisi pro disfaciendo, valoris solidorum grossorum ut dicunt patroni Arsenatus, absque ferramentis grossis, pro aptacione dictarum riparum’ (ASVE, Avogadria di comun, reg.22).

La destinazione a diverso uso di scafi ormai vetusti, soprattutto con finalità di pubblica utilità e assistenza, rientrava nelle concessioni e ‘grazie’ che il Maggior Consiglio deliberava a favore delle comunità del Dogado della Serenissima.

Nella frase sopra riportata si attesta la concessione dello scafo di un’imbarcazione destinata alla demolizione, spogliata delle sovrastrutture e delle parti metalliche, per essere utilizzato come cassaforma a consolidamento dell’argine di un canale.
Una pratica diffusa per riutilizzare le opere morte di molte imbarcazioni, la cui vita sovente non superava il decennio.
Probabilmente con formula simile venne deliberato il reimpiego di uno o più legni per consolidare il perimetro del deposito di sedimenti in prossimità della foce del Timavo, su cui nell’anno 1284 sarebbe sorto il fortilizio veneziano noto con il nome di ‘Belforte’.

(carta di Giovanni Antonio Magini, Venezia, 1620)

le terme romane di Monfalcone sul finire del 1800

le terme romane di Monfalcone sul finire del 1800

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Dalle alture dell’isola di Sant’Antonio, questo scatto di fine ‘800 testimonia l’estensione del complesso delle terme romane di Monfalcone, così come ancor si presentava nella veste definitivamente cancellata dai bombardamenti della Grande Guerra.

il passo di Cassegliano

il passo di Cassegliano

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Durante la seconda metà del ‘700, la Repubblica di Venezia versava in una condizione economica di crisi e la decadenza definitiva era ormai alle porte.
Tuttavia le opere considerate essenziali per la sopravvivenza della stessa, mediante anche un saldo controllo del territorio, erano tenute in massima considerazione.
A seguito del progressivo indebolimento degli argini del fiume Isonzo, sotto il doge Alvise IV Mocenigo, il luogotenente alla Patria del Friuli decise di farli rinforzare, affinchè l’erosione non compromettesse determinati punti cardinali del sistema viario dell’epoca.
Uno dei quali era rappresentato dal passo di barca di Cassegliano, vero e proprio punto di confine tra l’arciducato d’Austria (con la villa de Villesch-Villesse) e la Serenissima, nonché guado che, per tutto il ‘700, rappresentò l’unico punto di passaggio tra il Friuli e la Bisiacaria veneta, sino a Trieste.
Il cippo in foto fu eretto per commemorare proprio quest’opera di consolidamento ed è visibile a Cassegliano, villa di antiche origini romane, proprio lungo il cammino che traduceva alla zattera del passo.

>QUI l’articolo sul forte veneziano di Fogliano


 

Pons Sonti

Pons Sonti

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Le strade romane per la Pannonia rappresentavano un percorso estremamente importante di comunicazione tra area adriatica, area alpina (il Noricum) e quella danubiana.
Nel primo secolo a.C. fu tracciata la strada che collegava Aquileia a Nauporto, odierna Vhrnika, in Slovenia, ove le merci venivano scaricate dai carri e imbarcate su traghetti che poi avrebbero raggiunto destinazioni remote utilizzando le vie d’acqua della Sava e del Danubio.
Questa strada ricalca un preesistente itinerario preistorico che, attraversando la Selva di Piro (ad Pirum), scavallava i rilievi carsici e consentiva di tagliare notevolmente le percorrenze.
Punto di passaggio del fiume Isonzo era rappresentato dal Pons Sonti, nei pressi dell’attuale località di Mainizza. Da questo luogo, allontanandosi da Aquileia, la strada traduceva poi a Castra ad Fluvium Frigidum, attuale Aidussina.
Senz’approfondire in questo momento gli straordinari fatti che riguardarono le località citate, nella foto qui sopra, scattata in prossimità della località Mainizza di Farra d’Isonzo al momento dell’ultima grande magra del fiume, si possono notare le basi dei pilastri di sostegno del ponte, che conobbe lunga e tormentata storia.

QUI, una galleria di foto da noi scattate in occasione della secca del fiume (anno 2012)


 

il bassorilievo del dio Aesontius, conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia

 

il molino americano

il molino americano

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Il ‘molino Novo’, detto anche Americano, era situato sul Timavo a pochi passi dalla chiesa di San Giovanni in Tuba e dà notizia di sé già in alcuni documenti della metà del diciassettesimo secolo.
In questo fotomontaggio si possono notare le strutture del mulino e della chiesa prima e dopo il passaggio della Grande Guerra.

il teatro romano di Trieste

il teatro romano di Trieste

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Pietro Nobile nacque Nel 1776 a Campestro, in Canton Ticino e fu architetto molto attivo fra Trieste e Vienna, ove diresse la scuola di architettura.

Esponente di spicco della sensibilità neoclassica in voga all’epoca, progettò a Trieste la nota chiesa di Sant’Antonio Nuovo, in pieno borgo teresiano, all’estremità del Canal Grande.

A lui, inoltre, si deve la prima individuazione del teatro romano della città, avvenuta nei primi anni dell’800.

Il manufatto venne costruito fronte mare e nel corso dei secoli fu poi via via ‘colonizzato’ dalle costruzioni abitative, che lo inglobarono definitivamente, preservandolo così dalla corruttela del tempo e da eccessive spoliazioni.

Nel 1938 lo si riportò definitivamente alla luce, come si può osservare in questa foto del tempo.

il Lisert e la Adria Werke

il Lisert e la Adria Werke

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Il Lisert in una foto dei primi anni ’30, quando lo spazio dell’attuale cartiera era ancora occupato dalla palude della Risaia.

In primo piano, la strada statale 14 da poco inaugurata mentre sullo sfondo si scorgono le strutture dello stabilimento Adria Werke-Solvay.

Interessante notare anche il tracciato della strada più a sinistra, nella foto, ricalcante l’andamento dell’attuale via Timavo che, a poca distanza dallo stabilimento delle terme romane, attraversava il Locavaz su un ponte in seguito demolito

tra acque e miti del fiume Timavo (III parte)

tra acque e miti del fiume Timavo (III parte)

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Ora il bosco sacro delle risorgive del Timavo non c’è più mentre il sacello e il porto tutto sono ormai celati sotterra o dal fluire della corrente del fiume e di loro non resta che l’eco del ricordo.
Rimangono però le terme, le Terme Romane di Monfalcone, rase al suolo durante la Grande Guerra, ma che alla vigilia della conflagrazione ci avevano ridonato due donarii dedicati al Fonte. Si ritiene dunque che all’interno delle terme fosse collocato uno spazio consacrato ai poteri salutari legati al culto delle acque.

ambiente ipogeo delle terme monfalconesi | foto: Flavio Snidero

E nell’abside della chiesa rovinata di S. Giovanni rimangono tuttora murate dopo l’immenso turbine bellico le tre are sacre alla Speranza Augusta, che erano state deposte nel santuario del Timavo da visitatori stranieri per ottenuta guarigione.

ara murata nell’abside della chiesa di San Giovanni in Tuba

Nei primi secoli grigi del medio evo il luogo, conteso tra Bizantini e Longobardi, giacque abbandonato, poiché si era andato colmando il Catino (val Caina, antico nome della zona del Villaggo del Pescatore): tale, secondo alcune interpretazioni, era il toponimo, mentre altre propendono che vi fosse un riferimento alla catena che, una volta tesata, sbarrasse l’accesso al porto.
Intorno al Mille sorsero sulle rovine degli edifici romani la prima chiesa di S.Giovanni per opera del patriarca Ulderico di Aquileia e un cenobio, di cui poi si impadronirono i cavalieri e che poi scomparve, mentre i Veneziani si fortificarono sulla vicina isoletta di Belforte per sorvegliare il mare di Trieste.

Allora altre leggende fiorirono, come quella dello Scoglio di Dante pensoso sul mare e del fantasma della Dama Bianca di Duino.
Nel Timavo le genti giuliane riconoscono il loro Clitumno, sacro per gli antichi culti, per il beneficio delle sue linfe, per i miti e le storie del passato.
Dopo la Grande Guerra alla foce del Timavo è risorta la vita nelle nuove case, nella nuova chiesa, nello stabilimento del nuovo acquedotto di Trieste intitolato a Randaccio, in onore del quale è stato eretto un cippo nel sito ove egli cadde in battaglia.
Al margine della nuova strada sono incisi nel vivo masso i versi virgiliani del Timavo.
E’ rinata Monfalcone con i suoi cantieri, è resuscitato il castello di Duino, dalle cui macerie tra altri frammenti di lapidi e sculture si recuperarono parte di un secondo esemplare del basamento votivo di Sempronio Tuditano, l’ara dedicata al Timavo e un altro quarto altare alla dea Speranza, senza dubbio provenienti da quei santuari: frutti spontanei largiti dal classico suolo del Timavo e che ci invitavano e ancora ci invitano insistentemente a imprendere l’esplorazione archeologica anzitutto dell’area circostante i ruderi della chiesa del Battista, uno dei luoghi più suggestivi d’Italia.

Val Caina e antica linea di costa al Villaggio del Pescatore

tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)

tra acque e miti del fiume Timavo (II parte)

a cura della prof.ssa Marisa Bernardis

doppio binario di solchi carrai, a San Giovanni di Duino

doppio binario di solchi carrai, a San Giovanni di Duino

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In questa foto, in cui sullo sfondo è riconoscibile San Giovanni di Duino, sono evidenziati  due binari di solchi carrai.
Non si può determinare con esattezza se si possa trattare di uno sdoppiamento della carreggiata o di una sostituzione di un tratto eccessivamente logoro già ai tempi d’impiego della strada.
“..la via di Monfalcone per l’Istria nel 1371 venne rifatta dal Patriarca, il quale ricostruiva anche il ponte di pietra al confine di S. Giovanni. La strada era ancora del tempo romano e costeggiava la palude del <Lacus Timavi>…” (R. Pichler, ‘Il castello di Duino’ 1882 ).
Per ulteriori approfondimenti sulla viabilità romana locale, si rimanda ai contenuti del progetto SottoMonfalcone relativi alla strada romana a S. Giovanni di Duino, curato dall’associazione.


 

urna cineraria nei pressi della strada romana del Lisert

urna cineraria nei pressi della strada romana del Lisert

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Indagando le origini della rete stradale che interessò l’antico ‪Lisert, i ritrovamenti risalenti al periodo romano – materiali fittili, tombe- ne attestano il periodo di più intenso utilizzo, tenendo presente che questi percorsi furono utilizzati anche in epoche successive a quella romana.
Ciò è suffragato dal fatto che, ad esempio, il tratto diretto al ponte romano sul Locavaz era percorso dalle genti del carso sino al primo ‘900, presentando per via dell’uso intenso delle irregolarità nei solchi carrai, più logori e profondi in corrispondenza della traccia più a valle, gravata da un peso maggiore.
Nella foto, un’urna cineraria calcarea rinvenuta in prossimità della strada, in uno scatto di Abramo Schmid della Commissione Grotte di Trieste.


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