il Lisert e la Adria Werke

il Lisert e la Adria Werke

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Il Lisert in una foto dei primi anni ’30, quando lo spazio dell’attuale cartiera era ancora occupato dalla palude della Risaia.

In primo piano, la strada statale 14 da poco inaugurata mentre sullo sfondo si scorgono le strutture dello stabilimento Adria Werke-Solvay.

Interessante notare anche il tracciato della strada più a sinistra, nella foto, ricalcante l’andamento dell’attuale via Timavo che, a poca distanza dallo stabilimento delle terme romane, attraversava il Locavaz su un ponte in seguito demolito

urna cineraria nei pressi della strada romana del Lisert

urna cineraria nei pressi della strada romana del Lisert

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Indagando le origini della rete stradale che interessò l’antico ‪Lisert, i ritrovamenti risalenti al periodo romano – materiali fittili, tombe- ne attestano il periodo di più intenso utilizzo, tenendo presente che questi percorsi furono utilizzati anche in epoche successive a quella romana.
Ciò è suffragato dal fatto che, ad esempio, il tratto diretto al ponte romano sul Locavaz era percorso dalle genti del carso sino al primo ‘900, presentando per via dell’uso intenso delle irregolarità nei solchi carrai, più logori e profondi in corrispondenza della traccia più a valle, gravata da un peso maggiore.
Nella foto, un’urna cineraria calcarea rinvenuta in prossimità della strada, in uno scatto di Abramo Schmid della Commissione Grotte di Trieste.


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Lagunamare | Sul Belforte e la zona del Lisert [febbraio-marzo 2014]

Lagunamare | Sul Belforte e la zona del Lisert [febbraio-marzo 2014]

rassegna stampa

Grazie al cortese interessamento dell’amico Marco di Rialtofil, sul numero di marzo di Lagunamare, rivista di Assonautica Venezia, si parla del Lisert, del Belforte e delle terme romane nell’intreccio di storia e suggestioni, in un articolo a cura della nostra Associazione.

Clicca QUI per l’articolo pubblicato su Lagunamare di febbraio/marzo 2014, dal titolo ‘Sul Belforte e la zona del Lisert’

Fonte Timavi

Fonte Timavi

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Il lacus Timavi, rappresentato nella Tabula Peutingeriana.

Il toponimo Fonte Timavi, come già fece notare la dott.ssa Bertacchi, archeologa già direttrice del Museo Archeolgico Nazionale di Aquileia, è una denominazione che è possibile far riferire all’antica mansio romana insistente in epoca imperiale sulla via Gemina (?), oggi racchiusa nel complesso dell’acquedotto del Randaccio.

La Tabula Peutingeriana, inserita nell’elenco delle Memorie del Mondo dell’UNESCO, è una copia bassomedievale di un antico stradario militare dell’Impero romano.

Deve il suo nome a Konrad Peutinger, antiquario e umanista formatosi a Roma e a Padova, che ereditò la mappa dal bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I d’Absburgo, Conrad Celtis.

Conservata presso l’Hofbibliothek di Vienna, ha acquisito anche il nome di Codex Vindobonensis (324), dalla denominazione romana della capitale austriaca.

La dignità topografica riservata sulla carta alla Fonte Timavi è del tutto parificabile a quella della vicina Aquileia: in epoca calssica la zona del lacus deve aver di certo rivestito un ruolo cardinale come nodo viario, commerciale e strategico.

punta cocci

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In occasione di una bonifica resasi necessaria al canale d’accesso al Villaggio del Pescatore, a breve distanza dal sedime del Sidam, si rinvenne un deposito subacqueo di cocci, successivamente asportato e depositato nei pressi del ‘balo’, la grande palude bonificata e successivamente inglobata nella zona industriale di Monfalcone.

Le prime suggestive ipotesi circa quel rinvenimento fecero propendere per il carico perduto da un barcone, ivi naufragato.

Studi più accurati misero in luce la natura di quei reperti.

Che vennero datati come appartenenti al periodo tra il I e il II sec. d.C. e a quello tardorinascimentale.

Trattandosi di materiale decorato, riservato ad una clientela nobiliare, si pensò più opportuno ricondurre tale ritrovamento nell’ambito di un centro abitato o, ancor meglio, di una villa patrizia.

E, sorgendo sulla via tra Tergeste ed Aquileia il Castellum Pucinum, in cui si produceva l’omonimo vino, particolarmente apprezzato da Livia Drusilla, moglie del primo imperatore romano Augusto, ciò giustificherebbe l’insediamento in zona di una fabbrica votata alla produzione di materiale così raffinato.