il Mitra tauroctono di Aquileia e il Sol Invictus

il Mitra tauroctono di Aquileia e il Sol Invictus

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Correva l’anno 1888.
Un anno straordinario per l’archeologia in quanto a Tunisi veniva inaugurato il museo del Bardo, vero e proprio scrigno di tesori del passato, con la sua impressionante collezione di mosaici romani.
In quel periodo anche ad Aquileia proseguivano i rinvenimenti dei tasselli di quel mondo antico celato nelle sue campagne, del quale  già da tre lustri s’ordinavano le collezioni presso l’Imperial Regio Museo dello Stato, nato per volere degli Asburgo e ospitato, allora come oggi, presso villa Cassis Faraone.
In quell’anno, un mese esatto prima del Natale, durante alcuni lavori in un vigneto nei fondi Ritter di Monastero fu scoperto un magnifico rilevo lapideo di Mitra tauroctono, assieme al frammento di un’ara votiva.
Tale rilievo riemergeva dal passato in uno stato di conservazione del tutto eccezionale, forse intenzionalmente nascosto a breve distanza dal mitreo che un tempo lo accolse.
La storia di questo capolavoro del mondo classico incrociò qualche mese più tardi quella di una delle più importanti personalità del mondo finanziario di Trieste: il barone Carlo von Reinelt.
Già presidente della locale raffineria di petrolio e di una notissima compagnia assicurativa, nel 1879 andò a presiedere la Camera di Commercio di Trieste alla quale, grazie a un prestito personale, permise la costruzione dei magazzini del porto.
Il barone, probabilmente l’esponente più ricco dell’alta borghesia imprenditoriale triestina dell’ottocento, acquistò il rilievo ed altri pezzi  agli allora proprietari del fondo e, nonostante avesse già accordato la destinazione di quei preziosi reperti al locale Museo di Stato, nell’estate del 1889 decise di spedire il tutto al Kunsthistorisches Museum di Vienna,  inaugurato nel 1891 e divenuto scrigno di molte collezioni private imperiali.
Iniziativa che suscitò la più viva riprovazione nel mondo accademico locale e non solo.
Il meraviglioso rilievo s’involava dunque per sempre lontano da Aquileia, mentre il suo calco è oggi esposto presso il Museo Archeologico Nazionale.
[continua dopo le foto]

In queste foto, scattate all’originale custodito presso il museo viennese, si può ammirare la scena centrale del culto di Mitra, dio della luce o ‘Sol Invictus‘, mentre costringe il toro al suolo all’interno di un antro, nell’attesa del segno del corvo per compierne l’uccisione.
Il serpente e il cane si nutrono del sangue del toro mentre i due geni, Cautes e Cautopates, ai due lati del dio, personificano l’eterno ciclo di rinnovamento tra vita e morte.
Cautopates, in questa rappresentazione, con la sua fiaccola abbassata rappresenta il tramonto e precede Cautes, l’aurora, suggerendo la tensione all’eterna rinascita.
Al solstizio d’inverno la Natura muore, per poi resuscitare in primavera, traguardando il solstizio d’estate.
Ed è proprio a Natale che il sole inizia a rinascere, dopo l’apparente pausa che si prende nello volta stellata, tramontando e sorgendo illusoriamente nella stessa posizione, prima d’invertire il cammino e procedere nuovamente verso l’equatore celeste.
Invitto, in questa sua ciclica tendenza alla rinascita.


Un fenomeno naturale osservato dalle popolazioni dell’emisfero boreale già dalla notte dei tempi.
Già Marco Aurelio Antonino Augusto, imperatore d’origini siriane che regnò dal 218 al 222 e noto come Eliogabalo, dalla sua carica di sacerdote del dio sole El-Gabal, introdusse a Roma il culto di Mitra.
Circa mezzo secolo più tardi, nel 274, l’imperatore Aureliano decretò che il 25 dicembre sarebbe stato il Dies Natalis Solis Invicti, includendo la data nelle festività dei Saturnali, dedicati alla protezione della fecondità dei raccolti e quindi della famiglia.
Ma fu l’imperatore Costantino, nel 330, a decretare la coincidenza tra la nascita di Gesù e la celebrazione di origini pagane del Sol Invictus.
Il 25 dicembre di quell’anno originava dunque il Natale cristiano, definitivamente ufficializzato da papa Giulio I, pochi anni dopo l’editto di Costantino.
Nel quindicesimo secolo, secondo l’opera predicatoria di San Bernardino da Siena, francescano canonizzato nel 1450 da papa Niccolò V,  l’ostia consacrata iniziò ad esser esposta in ostensori recanti forma di sole che irradia raggi di luce.
La commistione tra il culto del sole e quello di Cristo mostra così, in quest’arredo sacro, una crasi fisica che ancor oggi ne rammenta le comuni origini.


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