Il piccolo Museo di Storia e Preistoria sito del Villaggio del Pescatore è la testimonianza dello stretto legame tra il territorio e i suoi frequentatori, dalla Preistoria ai giorni nostri. Allestito nel 2005, conserva una raccolta di materiale storico, archeologico, etnografico e paesaggistico rinvenuto nell’area geografica compresa tra il Carso e il litorale adriatico.
Dalle acque sotterranee del Carso emergono in superficie i laghi di Doberdò e Pietrarossa. Alimentati da un articolato sistema idrico, presentano la suggestiva particolarità di ‘scomparire e riapparire’ a seconda della variabilità delle precipitazioni. Situati in una riserva di 726 ettari situata fra le alture carsiche alle spalle di Monfalcone, offrono percorsi ricchi di sentieri escursionistici, due centri visite e punti di ristoro.
Alla foce del fiume Isonzo, nel Golfo di Panzano, si trova una perla naturalistica di eccezionale bellezza: l’Isola della Cona. L’elevato grado di biodiversità di quest’area protetta regala un prezioso e ricco patrimonio naturalistico di spiagge naturali, fondali marini sommersi, stagni perenni, canneti, popolato da numerose specie di uccelli migratori e non, invertebrati marini e terrestri, anfibi, rettili e mammiferi…
Presso il borgo del Villaggio del Pescatore si trova uno dei più importanti giacimenti paleontologici italiani. Agli anni ‘90 risale la scoperta dello scheletro dell’adrosauro Antonio, appartenente alla specie Tethyshadros Insularis, ora conservato apresso il Museo di Storia Naturale di Trieste. Nel sito sono stati rinvenuti anche i resti dello scheletro di un dinosauro della stessa specie, di coccodrilli, di pesci e di un rettile volante, tutti risalenti al Mesozoico.
Il fiume Timavo, dopo un lungo percorso sotterraneo, riemerge a San Giovanni di Duino in una cornice naturalistica di rara bellezza. A pochi chilometri dal mar Adriatico, le sue acque sgorgano da quattro polle che fanno da sfondo a siti di marcata valenza storica. La particolarità di presentare un corso ipogeo suscitò suggestione sin dai tempi antichi, venendo citato –tra gli altri– anche da Virgilio, nell’Eneide.
Le Falesie tra Duino e Sistiana sono il risultato di un’articolata serie di processi geologici al termine dei quali il mare, con la sua forza corrosiva, modella le rocce calcaree modificandole e creando forme particolari. Solchi marini, cavità sommerse e sorgenti di acqua dolce caratterizzano tutto il litorale carsico. Il sentiero Rilke da Sistiana al Castello di Duino permette di ammirare questo fenomeno.
L’area archeologica si trova in prossimità delle risorgive del Timavo, all’interno del parco dell’acquedotto “Giovanni Randaccio”, dove è emersa casualmente; è stata indagata a più riprese fra gli anni Settanta e gli anni Novanta del secolo scorso.
L’edificio si estendeva sul fianco di un’altura carsica e si articolava in ambienti disposti su tre livelli che ne seguivano la pendenza, in parte incassati nei gradoni ricavati dallo scavo della roccia di base, in parte fondati su livellamenti.
Lo scavo ha riportato alla luce la porzione a monte (40 vani, per una superficie di circa 1300 mq) di una struttura residenziale della quale sono invece ignoti i limiti sud-ovest e sudest; in questa fascia la lettura dei resti è anche ostacolata dall’emersione dell’acqua di falda, alimentata dalle sorgenti carsiche.
L’ampiezza del complesso e la vicinanza a uno degli snodi viari più importanti della strada che da Aquileia si dirigeva a Tergeste (Trieste) hanno portato alla sua interpretazione come mansio, ovvero come una delle stazioni di sosta che erano collocate lungo le vie a distanza regolare, per il riposo dei viaggiatori e degli animali. Un apprestamento di questo genere è peraltro segnalato nella zona dalla Tabula Peutingeriana, copia medievale di un itinerario dipinto di età romana.
La villa/mansio è databile, nella prima delle sue quattro fasi, entro la metà del I secolo a.C.; particolarmente rilevante appare la successiva ristrutturazione in epoca augustea (27 a.C. – 14 d.C.), quando le stanze vennero rivestite da mosaici bianchi e neri con motivi a crocette, a stelle, a losanghe, a mura merlate. Fra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. fu effettuato un ampliamento e alcuni vani furono dotati di riscaldamento a pavimento e a parete tramite intercapedini e tubi per il passaggio dell’aria riscaldata da una caldaia, ma già dopo un secolo un settore fu abbandonato.
Nell’ultima fase, protrattasi fino al III/IV secolo d.C., l’area fu rimaneggiata con la posa di alcuni pavimenti a cubetti di cotto e l’impianto di strutture di tipo produttivo (alcune vasche e un focolare).
testo: Paola Ventura
villa romana del Randaccio – foto progetto 3d Lacus
Costruito in epoca protostorica con funzione difensiva e sito in posizione strategica, il castelliere faceva parte di una rete di comunicazione tra i vari altri villaggi protostorici. La Rocca, invece fu edificata durante il medioevo e, oggi ospita un museo che conserva reperti e materiali relativi alla geologia dell’ambiente carsico.
Edificato intorno al 1500 a.C. e situato in una posizione strategica, faceva parte di un sistema di abitati fortificati comunicanti tra loro per garantire il controllo dei percorsi di persone e merci. La cinta muraria era spessa 2,70 mt e alta 2,50. Gli scavi hanno riportato alla luce una gran quantità di monete di bronzo.
Il Castelliere di San Polo è il più esteso, più intelligibile e meglio conservato di tutta l’area isontina ed è locato alle spalle dell’attuale ospedale. Indagato dal botanico e archeologo Carlo Marchesetti sulla fine dell’800, fa parte del gruppo di quattro imponenti castellieri ubicati a ridosso della città di Monfalcone.
Ben poco rimane visibile oggi di questo insediamento, un tempo protetto da una duplice cinta muraria alta fino a 5 metri: la cinta esterna era lunga 510 metri, mentre quella più interna 390 metri.
Gli scavi condotti dal naturalista triestino scesero fino alla profondità di 1,75 metri, e permisero di portare alla luce numerosi materiali: frammenti ceramici, ossa di animali, reperti in bronzo. Questi consentono di datare il castelliere tra il 1500 e il 500 a.C., ovvero tra il Bronzo Medio-Recente e l’età del ferro.
Lo stesso Marchesetti condusse ulteriori campagne di scavo, rinvenendo alcune sepolture di età romana, che confermano una ripresa della frequentazione del sito. Di rilevante importanza per la strategicità del luogo la presenza ai piedi del castelliere di una grotta, probabilmente cancellata dalle vicissitudini belliche della Grande Guerra, sul cui fondo scorrevano acque sotterranee, fondamentali per garantire la vivibilità dell’antico insediamento.
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