Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana

Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana

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Come abbiamo già avuto modo di dire nella precedente “tappa” di questo nostro Percorso di pietra, i ponti sono considerati le “opere d’arte” degli ingegneri stradali romani, maestri insuperabili nella costruzione di questi manufatti.
Erano elementi essenziali della viabilità antica e testimoniano ancora oggi il passaggio di strade ormai scomparse.
I più antichi ponti romani, abbiamo detto, erano costruiti in legno anche per poter essere velocemente smontati in caso di pericolo.
I primi esemplari in muratura, a una o più arcate sostenute da pilastri (pilae), risalgono alla fine del II secolo a.C.
Un ponte necessitava in primo luogo di basi ben solide e l’edificazione delle fondazioni era di certo l’operazione più impegnativa. Nel caso di fiumi ampi, con una portata d’acqua costantemente elevata, era necessario isolare l’area in cui costruire il pilone.
Marco Vitruvio Pollione, architetto, ingegnere e scrittore vissuto in epoca augustea ce ne spiega la realizzazione nella sua famosa opera De architectura: si costruiva un cassone con una doppia parete di pali lignei, entro la quale erano inseriti sacchi di argilla in modo da creare uno sbarramento a tenuta stagna.
Una volta immerso, il cassone veniva svuotato dall’acqua fino a liberare il fondo su cui lavorare.
La costruzione dell’arco avveniva per mezzo di una struttura semicircolare in legno (centina) su cui erano collocati i conci in pietra squadrata.

uso della centina nel montaggio della volta del ponte

La centina poteva poggiare direttamente a terra o essere fissata sul punto d’innesto della volta, su una sporgenza creata a livello dell’ultimo filare orizzontale del pilone. L’arco si realizzava giustapponendo i conci a partire dalle estremità sino al punto centrale, dove si collocava il concio di sommità (chiave dell’arco).
Per diminuire gli effetti dell’erosione causata dalla corrente, se possibile, i piloni erano costruiti al di fuori dell’alveo del fiume.
Si venivano così a creare delle arcate molto grandi, larghe anche più di 30 metri.
La presenza di un archetto centrale nel pilone permetteva un maggior deflusso dell’acqua in caso di piena.

Nella prossima “pillola” guarderemo da vicino il ponte della Mainizza…sì, proprio lui!


 

la via Iulia Augusta

la via Iulia Augusta

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In queste foto, alcuni tratti della via Iulia Augusta tra Alassio e Albenga (Albingaunum), sulla riviera ligure di ponente.
Costruita per volontà di Augusto per collegare la città di Arelate, odierna Arles a Placentia (Piacenza). Il suo antico percorso è costellato ancora ai giorni nostri da numerose testimonianze, quali cippi, recinti funerari, monumenti e alcuni tratti della via stessa, che corre per un lungo tratto lungo la costa meridionale di quella che un tempo fu la Gallia.


la via Iulia Augusta: clicca per scoprire l’itinerario di visita
Percorso di pietra #6 | I ponti romani

Percorso di pietra #6 | I ponti romani

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…a proposito di ponti…

Costruire un ponte è stato, per chi nel nostro passato ha avuto per primo questa brillante idea, un atto di vera e propria sfida alla natura e agli ostacoli da questa contrapposti alla volontà di spostamento degli esseri umani.
Oggi come allora questa tipologia di manufatti riveste anche un forte significato simbolico: unisce e divide, è sospeso ma al tempo stesso è radicato al suolo, con sfrontatezza permette agli uomini di oltrepassare l’acqua del fiume, elemento sacro in molte culture del passato.
Forse è per questo motivo che nei pressi del ponte della Mainizza si trovava un’area sacra dedicata all’Isonzo in forma di divinità, il dio Aesontius… era necessario tenersi buono il dio e farsi perdonare per l’atto sacrilego!
Non sappiamo molto dei ponti più antichi, ponti sospesi realizzati con fibre vegetali, che erano certamente utilizzati in regioni extraeuropee, nel Sud Est Asiatico, nel Sud America e nell’Africa Equatoriale, o dei primi esemplari in legno d’epoca romana come il ponte Sublicio che era già in uso nel VII secolo a.C.
Le fonti antiche ci raccontano ad esempio di ponti in legno come quello fatto costruire da Cesare sul Reno nel 55 a.C e descritto nel De Bello Gallico.

il ponte di Cesare sul Reno

Di certo i ponti “ad arco” in muratura e poi in pietra dalla metà del III secolo a.C. in poi ci illustrano la straordinaria abilità degli ingegneri romani, acquisita dagli Etruschi, nella progettazione e realizzazione di opere considerate “sacre”, al punto che la massima carica a carattere giuridico-sacerdotale romana, appunto il Pontifex, traeva il suo nome dalle figure istituzionali che in origine avevano curato l’edificazione dei primi ponti sul Tevere.
Con la grande rete delle strade consolari numerosi ponti ad arco a tutto sesto furono costruiti per permettere alle truppe militari ma anche ai traffici commerciali di superare ostacoli come fiumi o valli o terreni impervi. Ma come si costruiva un ponte in età romana?

 


In copertina, la foto del ponte romano del secondo secolo sul fiume Carapelle (Foggia), preservatosi sin ai nostri giorni.
Le immagini sottostanti riportano invece la situazione contemporanea del ponte romano di Ceggia (Venezia), lungo la via Annia.

Di quest’opera, riemersa dalle campagne in seguito a scavi del ’49, si notano in particolare le basi dei piloni di profilo cuneiforme, scolpite nell’arenaria e poggianti su palizzate lignee, conformati per fronteggiare al meglio l’impeto della corrente e minimizzare la creazione di vortici al suo passaggio, garantendo robustezza e stabilità al manufatto.
Una situazione simile a quella esistente in prossimità di San Polo di Monfalcone, presso Ronchi, ove un ramo dell’Isonzo veniva oltrepassato da un ponte di cui ancora oggi esistono alcune testimonianze ➔ Ponte di Ronchi dei Legionari.

Percorso di pietra #5 | Fermarsi a riposare lungo la strada: mansiones e mutationes

Percorso di pietra #5 | Fermarsi a riposare lungo la strada: mansiones e mutationes

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Immaginiamo di star percorrendo, magari a cavallo, una strada romana, per esempio proprio quella che portava da Aquileia a Emona…siamo stanchi, accaldati, la strada è polverosa e sembra non finire mai. Ma sappiamo dalle nostre mappe che presto incontreremo un punto di sosta.
Eccolo lì, proprio davanti a noi!
È una mansio, una specie di piccolo albergo dove potremo riposare, rifocillarci e cambiare la nostra cavalcatura, per poi riprendere il nostro viaggio…a breve distanza si può vedere il grande ponte che attraversa l’Isonzo e che ci consentirà di proseguire lungo la strada.
È il caso di dire che …siamo a cavallo!
Le mansiones, o stazioni di posta, si trovavano lungo le principali strade alla distanza di un giorno di viaggio l’una dall’altra, spesso in vicinanza di incroci o in prossimità dell’attraversamento di un fiume, proprio come la mansio presso il Pons Sonti citata dalla Tabula Peutingeriana. Erano strutture destinate a chi viaggiava con un incarico ufficiale. Dotate di ambienti per dormire, a volte erano riccamente decorate, fornite di impianti termali, e corredate da magazzini e scuderie.  Qui i viaggiatori potevano passate la notte.
A questo proposito ricordiamo che scavi archeologici condotti negli anni Quaranta nell’area contigua alla chiesetta della Mainizza hanno portato alla luce i resti di una struttura a pianta rettangolare lunga 26 metri con tre absidi…
Presso le più frequenti mutationes, a cinque miglia l’una dall’altra, era invece possibile cambiare i cavalli o far ricevere ai propri animali le cure di un veterinario. Altri punti di sosta, come bettole e taverne, fornivano ristoro e riposo ai privati cittadini in viaggio.

[in foto: la posizione approssimata della pianta della mansio, ottenuta sovrapponendo a un’ortofoto contemporanea la posizione degli scavi riportati in una mappa catastale]


ipotesi ricostruttiva della mansio presso Mainizza (Farra d’Isonzo) | immagine: Fondazione Aquileia

Fondazione Aquileia