Non solo Aquileia. Segni della presenza romana nel territorio tra Isonzo e Timavo.

Non solo Aquileia. Segni della presenza romana nel territorio tra Isonzo e Timavo.

nuove SottoMonfalcone

Progetto SottoMonfalcone | incontro pubblico presso la villa romana della Liberta Peticia, a Staranzano

Nella significativa cornice della villa romana di Staranzano, sabato 5 ottobre 2019 alle ore 11.00 le archeologhe Paola Maggi, Renata Merlatti e Gabriella Petrucci saranno presenti per una chiacchierata sulle principali testimonianze di epoca romana nella parte orientale dell’antico territorio aquileiese.
Si parlerà delle ‘tracce”’lasciate da chi viveva qui circa 2000 anni fa, segni a volte evidenti, a volte labili, che ci raccontano come il paesaggio si presentava in età romana.
Saranno illustrate le modalità di insediamento in quest’area: vie di comunicazione, infrastrutture, ville, necropoli.
Numerosi reperti ci illustrano poi la vita quotidiana del tempo.

L’incontro, aperto a tutti, costituisce una delle prime iniziative del progetto ‘SottoMonfalcone. Storia, archeologia e paesaggio nel territorio tra il Timavo e l’Isonzo’ promosso dall’Associazione Culturale Lacus Timavi di Monfalcone e finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia nell’ambito del Bando Regionale per gli incentivi annuali 2019 a favore della promozione delle attività culturali di divulgazione della cultura umanistica.

Il progetto mira a trasmettere a un ampio pubblico le conoscenze sui luoghi e sulle testimonianze di interesse storico, archeologico e paesaggistico di Monfalcone e del comparto territoriale circostante, dal mare ai rilievi carsici. L’intento è quello di raccontare in modo nuovo, attraverso una pubblicazione a carattere divulgativo, lo sviluppo storico del territorio dall’antichità a oggi, suggerendo allo stesso tempo nuove modalità di visita di luoghi conosciuti o meno noti.

Tra le altre attività previste dal progetto si segnala una mostra fotografica itinerante in cui verranno esposte immagini delle ricchezze culturali del territorio; saranno inoltre proposti degli “open days”, giornate dedicate a visite guidate aperte al pubblico alla scoperta dei luoghi di rilevanza storica e naturalistica.
Queste ultime iniziative, così come l’accesso ai documenti d’archivio e ai risultati delle ricerche condotte nel territorio, sono rese possibili grazie alla preannunciata collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia.

Partner nella realizzazione del progetto sono i Comuni di Staranzano e di San Canzian d’Isonzo, l’Associazione Obbiettivo Immagine di Gradisca d’Isonzo, l’Associazione Galleria Rifugio di Monfalcone, lo IAL del Friuli Venezia Giulia (Scuola Alberghiera di Monfalcone), Lions Club di Duino Aurisina, Club per l’UNESCO di Udine e l’Associazione FriuliVeneziaGiuliaДА di Trieste.

>QUI, le indicazioni per raggiungere la villa romana di Staranzano

>QUI, la sede del Comune di Staranzano, che sarà usata in caso di maltempo


SottoMonfalcone. Storia, archeologia e paesaggio nel territorio tra il Timavo e l’Isonzo

SottoMonfalcone. Storia, archeologia e paesaggio nel territorio tra il Timavo e l’Isonzo

nuove SottoMonfalcone

Grazie al recente scorrimento della graduatoria regionale relativa al bando per gli incentivi annuali a favore della promozione delle attività culturali – iniziative progettuali riguardanti manifestazioni di divulgazione della cultura umanistica, il progetto “SottoMonfalcone. Storia, archeologia e paesaggio nel territorio tra il Timavo e l’Isonzo”, presentato dall’associazione culturale Lacus Timavi quale capofila, rientra tra quelli ammissibili e finanziabili.
Tale progetto si propone di valorizzare la ricchezza delle evidenze archeologiche, storiche e naturalistiche del territorio tra il Timavo e l’Isonzo, con un particolare focus sull’area urbana di Monfalcone. L’obiettivo è di trasmettere a un ampio pubblico le conoscenze disponibili sui luoghi e sulle testimonianze di interesse storico e archeologico presenti a Monfalcone e nel comparto territoriale circostante.
Il prodotto principale sarà una pubblicazione a carattere divulgativo sull’archeologia e sulla storia di Monfalcone e dei comuni circostanti dall’antichità all’età moderna, con un’attenzione particolare alle trasformazioni avvenute nel paesaggio naturale e antropico.
L’intento è quello di costruire e divulgare, attraverso diversi prodotti e con la massima attenzione alla scientificità dei contenuti, una narrazione d’insieme dello sviluppo storico, dall’antichità a oggi, di un territorio connotato da una certa omogeneità di espressioni culturali.
L’analisi dei dati – spesso frammentari e conosciuti solo dagli specialisti – che provengono da numerose ricerche di archeologia del paesaggio e da indagini di scavo condotte nell’area, è in grado di gettare nuova luce sulle trasformazioni culturali, sociali e ambientali nel divenire di millenni.

logo Friuli Venezia Giulia


anno 1824: breve viaggio da Monfalcone a Duino

anno 1824: breve viaggio da Monfalcone a Duino

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Questa mappa, datata ‘Triest, den 27 März 1824’, è opera della Kustenlandische Baudirection [1], la direzione delle opere d’ingegneria civile della regione costiera dell’Impero austroungarico.
Si tratta della proposta di pianificazione di una nuova strada che avrebbe dovuto unire Duino a Monfalcone attraversando la palude del Lisert.
Partendo da sinistra, si nota la Monfalconer Baadhause [2] (le terme), al limitare del Monfalconer Moorgründe, il ‘fondale marino’ con cui si designa la palude del Lisert e, quindi, l’antico lacus (in questo caso definito con una forma non più in uso).
La vecchia strada, quella esistente, scavalla la sommità della Montagnolla della Punta [3]mentre le due previste l’aggirano: una, quella in rosso, tira dritta e attraversa il Locavaz Bach (rio del Locavaz) [4] per continuare dem Thurn gehörige Gründe [5], ossia fondi appartenenti ai della Torre, giungendo a San Giovanni di Duino [6].

L’altra strada prevista, in giallo, invece,segue un corso più meridionale rispetto a quella già esistente. Difatti, attraversando d’un tiro le foci del Timavo e il paludo, arriva nel Gemeinde Grad Bratina [7], ossia nel comune del castello di Bratina.
Da qui in poi, la strada rossa continua da San Giovanni e s’innesta nel vecchio percorso mentre quella gialla prosegue il suo andamento rettilineo attraversando il bosco della Cernizza.
Ambo le strade si tengono al di fuori della riserva di caccia dei conti della Torre, qui annotata come Thiergarten Cernizza Graf von Thurn gehorig [8].
A Duino, in prossimità del porto (Haven) si nota il Salz-Magazin, l’Altes Schloß e il castello ‘Nuovo’ [9].


Situation der zur Abbauung der sehr steilen und der Uberschemmung ausgesetzen Strassen Strecke zwischen Duino und dem Monfalconer Baadhause in Vorschlag gebrachten Strassenzuge— Situazione delle erte e dei guadi posti tra le terme di Monfalcone e Duino che s’incontrano lungo i percorsi delle strade proposte | Archivio Piani, 27/03/1824).

nota: tutti i termini in tedesco sono riportati tal quali dalla mappa

Situation der zur Abbaung_full
Situation der zur Abbaung (..)


 

una ‘radiografia’ dell’antico lacus Timavi?

una ‘radiografia’ dell’antico lacus Timavi?

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In quest’immagine abbiamo un po’ giocato, sovrapponendo un’ortofoto aerea del 1954 a una schermata tratta da Google Earth, che raffigura la situazione attuale.
Il risultato finale è molto curioso in quanto restituisce un’idea di quello che un tempo fu il cordone insulare che delimitava la laguna litoranea del ‘lacus’ dal mare aperto.
Questa laguna era punteggiata da alcune emergenze insulari, note come l’isola di S. Antonio (A) e l’isola della Punta (B) , che costituivano le più settentrionali delle insulae clarae citate da Plinio il Vecchio.
Si trattava nello specifico di un’unica isola, il cui cordone centrale risultava sommerso durante le alte maree, conferendole l’aspetto di due isole distinte.
In ‘C’ è evidenziato il ‘balo’, l’affioramento alluvionale sito in prossimità della foce del Timavo, che verosimilmente cela le rovine dello scomparso castello veneziano di Belforte.
Le terme romane di Monfalcone giacciono al limitare settentrionale dell’isola di Sant’Antonio, oggi quasi del tutto scomparsa a causa delle esigenze imposte dal progresso industriale del ventesimo secolo.
Un progresso che ci ha consegnato ancora alcuni piccoli cenni di quest’isola, visibili nelle foto sotto riportate, ma che ha definitivamente cancellato Quota 12, ossia l’isola della Punta che, però, ci ha comunque affidato importantissime testimonianze del passato, come la villa della Punta e l’imbarcazione d’epoca romana, oggi musealizzata (ma al momento non visibile al pubblico) presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia.



 

Temavo /voto/[suscept]o/…

Temavo /voto/[suscept]o/…

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Nell’anno 1924, all’atto della parziale ricostruzione del castello di Duino a seguito della devastazione provocata dalla guerra, furono rinvenuti diversi frammenti di lastre con epigrafi, colonne e altro materiale d’epoca romana, probabilmente proveniente dal vicino sacello del Timavo e successivamente reimpiegato nella costruzione più antica delle torri del mastio.
Una torre che è comunemente ritenuta d’epoca romana e che, pur non essendo questa una tesi facilmente dimostrabile, comunque rappresenta una parte costruttivamente a sé stante, nelle strutture del castello del XIV secolo. Difatti è orientata in maniera differente rispetto alla disposizione generale degli altri edifici e torri ed è costruita con una tecnica a blocchi squadrati sovrapposti, dissimile da quella impiegata nei fabbricati prossimali.

il castello di Duino

Le lapidi votive provenienti probabilmente dal luogo sacro del Timavo non si ritrovano unicamente qui, ma anche reimpiegate nei materiali di costruzione della vicina chiesa di San Giovanni in Tuba, voluta dalla famiglia dei Walsee.
L’aretta con l’iscrizione dedicatoria al culto fluviale del Timavo [Temavo /voto/[suscep]to/…], del I secolo, è visibile presso il Museo d’Antichità J.J. Winckelmann di Trieste, mentre la sua copia è posta a breve distanza da una delle bocche da cui il fiume Timavo erompe dal suo percorso ipogeo.

>QUI, le origini etimologiche del nome Timavo 

>QUI, la nostra intervista a S.A.S. Carlo Alessandro Della Torre e Tasso III, Principe di Duino

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Temavo /voto/[suscep]to/…

 

il forte veneziano di Fogliano

il forte veneziano di Fogliano

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Correva l’anno 1500 quando Leonardo da Vinci  fu chiamato in riva all’Isonzo, in una missione mantenuta probabilmente segreta, per ideare un complesso sistema di chiuse a protezione della fortezza veneziana di Gradisca, che avrebbero dovuto rendere inutilizzabili i guadi al nemico più temuto del momento: il turco.
Erano infatti ormai trent’anni che i turchi imperversavano in Friuli, giungendo dalla Bosnia e cercandovi d’entrare attraverso il guado antico di Fogliano, una volta lasciata alle spalle la città murata di Monfalcone.
Difatti, essendo equipaggiati in modo leggero ed adottando una tecnica di combattimento basata sull’agilità, difficilmente avrebbero cinto d’assedio le Terre, ossia le città murate. Domenico Malipiero racconta, nei suoi Annali, che le truppe turche fecero oltre ottomila prigionieri tra i civili in un sol mese, incendiando ogni villaggio del contado goriziano.
Da qui, la decisione della Repubblica di Venezia d’iniziare i lavori per la costruzione di una linea difensiva fortificata, comprendente la fortezza di Gradisca e i forti di Mainizza e di Fogliano.

Il forte stellato di Fogliano fu costruito nel 1474 e quasi interamente demolito circa un decennio più tardi, venuta meno la sua strategicità, considerato il poderoso impianto difensivo della coeva Gradisca. Difatti il 9 settembre 1480 Antonio Loredan, già  Capetanio General da Mar della Repubblica di Venezia e membro del Collegio dei Savi, fu inviato in Friuli per un sopralluogo alla linea difensiva sull’Isonzo. Assieme all’avogador Alvise Lando, decise di far demolire la piccola fortezza di Fogliano e di ampliare le difese di quella gradiscana.
Tuttavia, questa singolare struttura difensiva ci parla ancor oggi di sé, essendo giunta sin ai giorni nostri parte dell’originale cinte muraria stellata -se pur in un alzato limitato- attorno alla chiesa di Santa Maria in Monte, a Fogliano.
E’ immaginabile che, nel 1521, questa chiesa sia stata costruita su alcune preesistenti strutture del forte, riutilizzandone i materiali. L’edificazione di questa chiesetta votiva fu voluta da Teodoro del Borgo, comandante dei balestrieri a cavallo della Repubblica di Venezia. Fu scelto questo luogo in quanto Antonio Loredan, proprio nell’anno 1500 e in qualità di luogotenente della Patria del Friuli, concesse queste terre a Teodoro e al fratello Franco per essersi distinti per ardimento in occasione dell’assalto notturno dei turchi all’accampamento di Spilimbergo, un anno prima.
Sopra la porta d’ingresso si trova un’epigrafe che indica la paternità e l’anno di costruzione:

La cinta muraria presenta oggi alcune lacune, dovute ai successivi rimaneggiamenti e restauri, risultando tuttavia ancora intelligibile larga parte dell’originario andamento. Le cronache locali dell’anno 1615 ci parlano di un ripristino delle strutture, riedificate all’interno del perimetro a stella originario. I rimaneggiamenti dei secoli successivi ne hanno definitivamente mutilato la forma, soprattutto a seguito della costruzione d’un’area cimiteriale privata, a ridosso della chiesa.
La chiesa, che oggi occupa il sedime delle antiche strutture del forte, appartiene a una tipologia locale molto diffusa ed è stata restituita nell’aspetto attuale dopo le ricostruzioni a seguito della Grande Guerra, mutila della torre campanaria, crollata durante il conflitto. Al suo interno si possono ammirare alcuni affreschi raffiguranti quattro Santi, tracciati non senza qualche ingenuità tecnica da sconosciuta mano.  Le altre rappresentazioni pittoriche, riscoperte anche a seguito di lavori dei primi anni ’20 del secolo scorso, sono invece attribuite all’udinese Giacomo Secante, allievo di Giovanni Antonio de’Sacchis detto il Pordenone, e rivelano per uso del colore e per vividezza delle scene un sentire più articolato, supportato da una tecnica matura.
Questo piccolo scrigno di storia e arte, celato tra la vegetazione carsica della collina che sovrasta Fogliano, merita una visita attenta, cercando d’individuare l’Isonzo e la sua pianura alluvionale, un tempo passaggio quasi obbligato, fortemente presidiato da una Serenissima che, dopo la scoperta dell’America, avrebbe ben presto intuito che il mare non avrebbe più rappresentato la sua fortuna definitiva, facendosi via via ‘Stato da Tera’.

 


 

la botte di villa della Punta

la botte di villa della Punta

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In epoca romana, i contenitori destinati al trasporto di alimenti erano rappresentati dalle anfore che, nelle loro diverse forme, potevano racchiudere prodotti quali il garum, l’olio d’oliva e il vino, ma anche spezie, semi, conserve di frutta, datteri e altro ancora.
Essendo principalmente costruite in terracotta, di esse è giunta sino ai nostri giorni una variegata testimonianza, apprezzabile presso le collezioni di numerosi musei archeologici.
Ben più raro è poter osservare un esemplare d’una botte lignea o parte di questa, come è invece successo nel caso del ritrovamento durante gli scavi condotti negli anni ’70 dello scorso secolo, presso la villa della Punta, posta sull’isola omonima -oggi scomparsa-  in prossimità della foce del fiume Timavo.
Difatti, nel corso di questi, emerse un coperchio d’una botte utilizzata per il trasporto del vino, decisamente ben conservato grazie alle condizioni anaerobiche dovute alla sommersione nei fanghi palustri, che ne hanno ostacolato la decomposizione.
Di quest’interessante testimonianza del II secolo dopo Cristo, particolare interesse suscitano alcuni graffiti e il marchio impresso a fuoco sulla superficie, che reca la scritta

C.VI[—]VS/ [—] 

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Considerato il periodo storico, risulta suggestivo immaginare che Massimino il Trace, soldato barbaro proclamato Imperatore dalle legioni a seguito di vittoriose campagne militari, servendosi di botti simili a quella cui appartenne questo coperchio, costruì un ponte per attraversare con le sue truppe un Isonzo dalle acque ingrossate per via dello scioglimento dei nevai alpini, nel tentativo di raggiungere ed assediare Aquileia.
Difatti, il Pons Sonti in località Mainizza era stato in precedenza abbattuto proprio per impedire a Massimino il raggiungimento della città romana sul fiume Natissa, ove qualche tempo dopo, al termine d’un estenuante assedio, troverà la morte per mano dei suoi stessi soldati.

Il coperchio della botte è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ed è stato esposto durante la mostra ‘Made in Roma and Aquileia’, proposta dalla Fondazione Aquileia nel 2017.

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Si conclude l’edizione 017-018 del Progetto Scuole, curato dalla nostra associazione.

Si conclude l’edizione 017-018 del Progetto Scuole, curato dalla nostra associazione.

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Sabato 26 maggio 2018 si è tenuto l’ultimo appuntamento del Progetto scuole per l’anno scolastico 2017/2018.
Questa volta abbiamo cambiato location per i nostri laboratori e ci siamo recati nella splendida Aquileia, con la classe 5^A della Scuola primaria Collodi di Fogliano.
Complice la bellissima giornata di sole, abbiamo potuto ricostruire all’aperto la struttura dei mosaici della Basilica e visitare il porto fluviale, il foro e i mosaici conservati al Museo Archeologico Nazionale.
Ringraziamo le maestre per la gentile collaborazione e i bambini per la loro partecipazione piena d’entusiasmo!
A rivederci il prossimo anno scolastico!

Il senso della scoperta – terzo appuntamento | Navigare nel Lacus Timavi. Antichi paesaggi e tecniche costruttive navali nelle lagune [sabato 21 aprile]

Il senso della scoperta – terzo appuntamento | Navigare nel Lacus Timavi. Antichi paesaggi e tecniche costruttive navali nelle lagune [sabato 21 aprile]

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Valentina Degrassi (ArcheoTest, Trieste) e Gilberto Penzo (Veniceboats, Venezia)

Il  relitto di una nave romana venuto alla luce nel 1972 nell’area del Lisert presso Monfalcone rappresenta il segno di un paesaggio lagunare perduto, ubicato presso le foci del fiume Timavo e punteggiato da ville con porticcioli e approdi, e al contempo è la testimonianza di antiche tecniche di costruzione navale.

Prendendo spunto da questa scoperta, l’archeologa Valentina Degrassi ci introdurrà alla conoscenza del Lacus Timavi e – facendo “parlare” le fonti letterarie, la cartografia storica e i dati archeologici – ricostruirà un antico paesaggio affascinante, oggi completamente cancellato, in un territorio ora invaso dalla zona industriale di Monfalcone.

Gilberto Penzo, esperto di costruzione navale, proporrà poi una carrellata attraverso i secoli sulla carpenteria e architettura navale nell’alto Adriatico, che dai fabri navales romani ci porterà agli squerarioli contemporanei, e dalla costruzione a guscio a quella a scheletro.

 

Sabato 21 aprile, ore 17 Marano Lagunare, Vecchia Pescheria (clicca per la mappa) INGRESSO LIBERO

Iniziativa collaterale alla mostra:
Il senso della scoperta. Testimonianze archeologiche dal mare e dalla terra nella Laguna di Marano
(Museo Archeologico della Laguna di Marano, 22.12.2017 – 01.05.2018)

A questo link, una magnifica carrellata di foto sull’imbarcazione romana di Monfalcone, realizzate da Flavio Snidero.
A questo link, l’antico sistema portuale del Timavo.

 

Evento organizzato in collaborazione con l’associazione culturale Lacus Timavi di Monfalcone e patrocinato dal Club per l’UNESCO di Udine.

Club per l'UNESCO di Udine


 

 

Il senso della scoperta – secondo appuntamento | Alle origini del Museo di Marano. Le scoperte archeologiche del gruppo Archeosub [sabato 7 aprile]

Il senso della scoperta – secondo appuntamento | Alle origini del Museo di Marano. Le scoperte archeologiche del gruppo Archeosub [sabato 7 aprile]

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All’improvviso ci apparve quella che sembrava un’antica stanza in mezzo alla laguna…

Ascolteremo da Maria Teresa Corso, che le visse da protagonista, il racconto delle prime pionieristiche esplorazioni fatte dai sub maranesi nella laguna di Marano, nello spazio di mare antistante ad essa e nel fiume Stella, l’Anaxum citato da Plinio.
Queste scoperte portarono all’individuazione di importanti giacimenti archeologici sommersi, molti dei quali sono ora valorizzati nel Museo della Laguna di Marano

 

Secondo appuntamento: Sabato 7 aprile, ore 17.00 

Alle origini del Museo di Marano.

Le scoperte archeologiche del gruppo Archeosub

Maria Teresa Corso (Archeosub Marano Lagunare)

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Museo Archeologico della Laguna di Marano – INGRESSO LIBERO
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informazioni:
(+39) 345 249 05 10
info@lacustimavi.it

 

 

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edificio della torre piezometrica – Aurisina

edificio della torre piezometrica – Aurisina

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Inoltrandosi nella landa carsica in prossimità della torre piezometrica di Aurisina, facilmente riconoscibile dalla strada statale costiera per via della sua mole, dopo un breve tragitto attraverso la macchia si ritrova un edificio costituito da bassi muri a secco in pietra locale a blocchi squadrati.
Individuata nei primi anni ’70 del secolo scorso, questa costruzione ha da subito attratto l’interesse degli studiosi che, a seguito d’alcune indagini, vi hanno rinvenuto diversi materiali, tra cui frammenti d’anfora, laterizi e alcuni resti di manufatti ceramici.
Il posizionamento di questo edificio, sito in prossimità dello spettacolare ciglione carsico, ha dapprima fatto propendere per una sua caratterizzazione come villa della prima romanizzazione locale.
La datazione dei reperti rimanda infatti all’età repubblicana del primo secolo a.C.; tuttavia, il sistema costruttivo dell’edificio è riferibile verosimilmente a tecniche di tipo protostorico, impiegate dalle popolazioni autoctone anche in piena età romana, che prevede  l’allestimento di basamenti in muratura a secco come sostegno ad alzati realizzati in materiale deperibile, oltre al partizionamento interno del fabbricato in un limitato numero di vani.

Difatti l’edificio di compone di quattro ambienti, di cui uno presenta una pavimentazione lastricata in pietra calcarea, mentre di particolare interesse è un piccolo corridoio, nel cui muro è ricavato un focolare.
Lo stato conservativo del manufatto ne permette una certa riconoscibilità e la sua suggestiva collocazione panoramica rappresenta ulteriore spunto per una visita.

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Saturnalia, Opalia e il Timavo

Saturnalia, Opalia e il Timavo

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Strabone, geografo greco di Amasya del primo secolo dopo Cristo, nel raccontare la zona del Timavo ci parla di un luogo ascrivibile a un lucus, o bosco sacro, rigoglioso e intimamente legato a una dimensione selvaggia e quasi primordiale.

Quest’aspetto sacrale era collegato in Grecia al culto di Apollo e rimandava all’età dell’oro, come anche ricordato da Virgilio nella quarta Bucolica (tu modo nascenti puero, quo ferrea primum/ desinet ac toto surget gens aurea mundo,/casta fave Lucina; tuus iam regnat Apollo).

E tale caratteristica è propria di Saturno, cui era dedicato un culto al Timavo.

Difatti, attorno agli anni ’50 del secolo scorso fu rinvenuto un mortarium in argilla [nella foto qui sopra], recante l’iscrizione Numen/Saturni impressa sull’orlo per quattro volte, di età tardo-repubblicana o protoaugustea, che rimanda direttamente al culto del dio delle semine.

la scritta numen/saturni, impressa per quattro volte

 

Le festività Saturnalia ed Opalia.

Le festività furono fissate dal 17 al 23 dicembre dall’Imperatore Domiziano per festeggiare Saturno e la sua sposa, la dea dell’abbondanza Opi. Le celebrazioni ricordavano l’età dell’oro vissuta dagli uomini, quando Saturno regnava sulla terra. I romani credevano che in questo periodo le divinità Sturno, Plutone e Proserpina uscissero dal sottosuolo e vagassero sulla terra portando l’inverno assieme al gelo sulla terra. Per fermare la brutta stagione dovevano essere rabbonite con offerte e feste in loro onore. Durante i saturnalia gli uffici e le scuole erano chiusi, non si iniziava e non si continuavano le guerre, tutte le attività che non riguardassero i festeggiamenti erano vietate. La tradizione voleva che il sole morisse in prossimità del solstizio d’inverno (fissato per il 25 dicembre), quando si giunge all’accorciarsi della notte e a un lento allungarsi del giorno. Il sole rinasce quindi più potente (Sol Invictus o Sole Invitto), quasi come un Dio bambino con l’inizio dell’anno nuovo.

Le città venivano addobbate con nastri, ghirlande e fiaccole, per sette giorni le persone si scambiavano doni e organizzavano grandi banchetti dove potevano partecipare anche gli schiavi. Infatti si ricordava un’epoca in cui non esistevano leggi, guerre e differenze sociali, quindi gli schiavi perdevano il loro status di sudditanza e divenivano liberi. Si racconta di casi con veri e propri scambi di ruolo fra padrone e schiavo.

Un princeps nominato ad estrazione organizzava le feste e i banchetti, non dimenticando il gioco d’azzardo, che era proibito durante il resto dell’anno.

Chi era Saturno?

Prima dell’influenza greca che si fuse ai culti romani, Saturno era una delle divinità  chiamate Numina, cioè potenze senza miti o storie. Esso proteggeva i campi e le sementi. Solo più tardi Saturno sarà collegato alla figura di Crono della civiltà greca.

La leggenda lo lega strettamente al popolo e al territorio italico, in quanto dopo la sua cacciata per mano di Giove, Saturno si stabilì proprio sul territorio donando la conoscenza dell’agricoltura agli uomini. Il suo regno porterà pace e ricchezza, denominato poi come età dell’oro. Egli diverrà dunque un eroe civilizzatore, per cui il suo culto sarà molto importante anche all’estremità dell’Impero.

Nella zona del Timavo furono presenti diversi culti come Ercole, la Spes Augusta, Temavus, Mithra e Saturno.

I giorni di festa nell’antica Roma

17 dicembre | La città veniva decorata con nastri fiori e ghirlande: si ornavano soprattutto le edicole degli dei e le vie della città venivano popolate da mercatini, danzatori e giocolieri. L’inizio dei festeggiamenti avveniva con rito del ‘lectisternium’: veniva organizzato un banchetto dove i commensali ospitavano le dodici divinità maggiori, gli si offriva del cibo chiedendo protezione e prosperità per Roma e i suoi cittadini. Poi si proseguiva con una processione fino al tempio di Saturno, dove avvenivano sacrifici di animali in onore della divinità. Ovunque c’erano ricchi banchetti e gli invitati si scambiavano auguri e piccoli doni, in questi banchetti veniva eletto il ‘Princeps’ che gestiva i festeggiamenti.

18 dicembre | Secondo giorno di festeggiamenti, grandi banchetti in onore di Saturno dove venivano invitate molte persone, inclusi gli schiavi.

19 dicembre | Terzo giorno, dedicato a Opi, sposa di Saturno, dea dell’abbondanza e protettrice del raccolto: a lei si chiedevano grazie e si dedicavano voti.

20 dicembre | Quarto giorno, i romani si scambiavano piccole statuette di terracotta, bronzo o cera dette ‘Sigillaria’. Esse venivano offerte ai Lari (spiriti protettori) della casa o come dono al dio Saturno. Saturno era legato al mondo degli inferi, quindi era quasi uno scambio che gli uomini offrivano al dio in cambio della loro anima; quasi uno scongiuro alla propria morte.

21 dicembre | Quinto giorno, la città si riempiva di visitatori che partecipavano ai festeggiamenti e approfittavano delle bancarelle per acquistare ricordi, vesti e ninnoli.

22 dicembre | Sesto giorno, continuano i festeggiamenti nell’ Urbe.

23 dicembre | Settimo giorno, si ringraziavano nuovamente le divinità con banchetti e processioni. I festeggiamenti finivano al tramonto.

a cura di Piera Mauchigna

 


 

Lucio Barbio Montano e l’aretta votiva all’Isonzo

Lucio Barbio Montano e l’aretta votiva all’Isonzo

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Aesontio
sacr(um)
L(ucius) Barbius Montan(us)
p(rimus) p(ilus)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

Sacro all’isonzo, Lucio Barbio Montano, primo centurione, ha sciolto un voto di buon grado a giusto titolo

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Isonzo; Soča; pons Sontii; Mainizza
l’aretta votiva, conservata presso il Museo Archeologico di Aquileia

 

L’antico nome dell’Isonzo (Aesontius) è documentato da questa epigrafe, studiata dall’archeologo Giovanni Battista Brusin e rinvenuta nel 1922 in località Mainizza, sulla riva dell’Isonzo, in prossimità del grande ponte romano che in quel punto lo attraversava.
L’altra epigrafe che ne riporta il nome è stata rinvenuta nel 1989, presso San Pier d’isonzo.

Il Brusin, aquileiese, negli anni ’20 fu direttore del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e iniziò gli scavi al foro e al porto dell’antica metropoli romana.

> il pons Sonti

> il grande ponte romano sull’Isonzo: una galleria d’immagini

 

Sanudo; Monfalcone; associazione culturale Lacus Timavi; Friuli Venezia Giulia

il Progetto Scuole fa tappa a Gradisca

il Progetto Scuole fa tappa a Gradisca

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L’ associazione culturale Lacus Timavi continua nel suo progetto sulla divulgazione della conoscenza del territorio monfalconese in chiave storica. In questi giorni, le tre prime classi medie dell’ Istituto Comprensivo ‘Francesco Ulderico Della Torre’ di Gradisca d’Isonzo, hanno partecipato al progetto ‘Scopri l’antico Lacus Timavi’ dedicato alla storia romana e del territorio.
Grazie a supporti multimediali, hanno dapprima scoperto la storia romana e le diverse rilevanze archeologiche e poi hanno potuto approfondire il tema delle ville costiere/rustiche presenti nella zona .
In conclusione ogni classe, divisa in gruppi, ha lavorato per realizzare diverse stanze per creare un modellino ispirato alla nota Villa della Punta.